5 DISCHI IMPERDIBILI DAL SAPORE INVERNALE

La scelta di quale tipo di musica ascoltare in un determinato momento può essere influenzata da diversi fattori. Tra questi ultimi ci sono sicuramente il nostro mood, la nostra curiosità (quando ci approcciamo ad album nuovi) e, almeno per una buona parte dei musicofili, il tempo atmosferico e la stagione.

Se la primavera e l’estate, nella maggior parte dei casi, vengono associate a melodie allegre e ottimiste, l’autunno e l’inverno vengono, invece, spesso accostati a note malinconiche o rilassanti.

Perciò, viste le settimane fredde che stiamo attraversando, ecco una breve rassegna su 5 dischi imperdibili dal sapore invernale da scoprire o riscoprire, ideali per l’ascolto in casa al caldo con il giradischi o in cuffia mentre passeggiamo su sentieri ricoperti di brina o di neve.

Dischi dal sapore invernale

Bon Iver – “For Emma, Forever Ago” (2007)

“For Emma, Forever Ago” dei Bon Iver (monicker che deriva dal francese “bon hiver”, “buon inverno”) è un album invernale da ogni punto di vista: musicale, iconografico e testuale. Pure la sua genesi è intimamente legata alla stagione fredda, perché il contesto in cui è stato registrato ha sicuramente contribuito al full- length così come lo conosciamo oggi.

Nel tardo autunno del 2006, il leader della band Justin Vernon si è ritirato nella vecchia cabina per la caccia di suo padre a Eau Claire in Wisconsin (Stati Uniti) per riprendersi dalla mononucleosi e dalla crisi esistenziale che stava attraversando. In queste circostanze, si è cibato delle prede che cacciava e, in poche settimane, ha registrato il primo disco a nome Bon Iver all’interno della baita trovando l’ispirazione grazie al freddo e alla solitudine. Durante la fase di songwriting, ha cambiato il suo metodo di lavoro componendo prima la musica e aggiungendo solo successivamente i testi, con il fine di renderli più subconsci e meno razionali.

Ciò che è uscito fuori da queste inusuali recording sessions è una gemma indie-folk con melodie soffuse ed emozionali, con un ampio uso della voce in falsetto che si appoggia su una chitarra acustica, una batteria ammaccata e poco altro.

Le lyrics, in pezzi da novanta come “Flume”, “Skinny Love”, “For Emma” e “re:Stacks”, riflettono il continuo dialogo interiore dell’artista, ricco di pathos e malinconia.

Nel 2007, anno della sua pubblicazione, “For Emma, Forever Ago” è stato una vera e propria rivelazione, tanto che la rivista di musica Rolling Stone lo ha inserito al 461° posto nella sua classifica dei 500 album migliori di sempre.

Radiohead – “Kid A” (2000)

A volte la copertina di un disco fa veramente il monaco. È il caso di “Kid A” dei Radiohead, sulla cui cover sono disegnate delle montagne completamente ricoperte di neve con un innaturale cielo nero e rosso sullo sfondo.

L’album, nello specifico, è stato un lavoro spartiacque nella discografia della band di Thom Yorke perché è caratterizzato da una marcata voglia di sperimentare: elettronica, ambient e jazz sono solo alcune delle influenze musicali che si possono sentire e producono un sound più sofisticato anche di quello del mai troppo celebrato “OK Computer”.

Come in quasi tutti i full – length dal sapore invernale, il mood è molto cupo e, nei passaggi più inquietanti, fa provare all’ascoltatore un generale senso di isolamento (inteso nella peggiore accezione possibile) e di pessimismo, che viene però controbilanciato dai testi toccanti in cui è possibile identificarsi con molta facilità.

“How To Disappear Completely”, in questo frangente, è una ballata acustica con elementi ambient e orchestrali e si focalizza, tramite lyrics comprensibili ma astratte, sull’alienazione sociale e sulla voglia di, appunto, sparire completamente nel vuoto nelle situazioni di profonda infelicità.

Nonostante la mancanza di veri e propri singoli promozionali, il Long Playing è diventato rapidamente un “fan-favourite” e contiene diverse hit, tra cui, oltre alla già citata “How To Disappear Completely”, “Idioteque”, “Optimistic”, “Everything In Its Right Place” e “The National Anthem”.

Agalloch – “The Mantle” (2002)

Tantissimi album riconducibili al black metal e ai suoi dintorni sono legati a immaginari freddi e nevosi ma è onestamente difficile trovarne uno più invernale di “The Mantle” degli Agalloch.

Emblematico sin dall’iconica copertina che ritrae la scultura di un wapiti realizzata da Roland Hinton Perry, questo disco è in grado di, metaforicamente, abbassare la temperatura anche quando ci sono 40° C all’ombra.

Difficilmente inquadrabile in un solo genere, può essere definito una miscela di post metal, folk metal, black metal, doom metal e neofolk. Il tutto con una costante alternanza tra delicate chitarre acustiche e momenti elettrici e tra cantato pulito e screaming.

Durante l’ascolto si viene investiti da un costante senso di malinconia, una malinconia che è però anche in grado di rilassare, quasi come se fosse un’accettazione serena del dolore. In questo frangente è praticamente impossibile non lasciarsi trasportare dalle melodie e non farsi catapultare in un paesaggio naturale innevato e incontaminato.

Nonostante i 68 minuti di durata e la presenza di pezzi piuttosto lunghi, la fruizione del platter non richiede particolari sforzi di attenzione ed è adatto anche a chi non è particolarmente avvezzo al metal atmosferico.

Non a caso, pure grazie a brani di successo come “In The Shadow Of Our Pale Companion”, “I Am The Wooden Doors” e “You Were But A Ghost In My Arms”, è senza alcun dubbio l’album degli Agalloch più apprezzato dai fan e dalla critica.

Nick Drake – “Pink Moon” (1972)

“Pink Moon” è il terzo e ultimo disco del cantautore inglese Nick Drake e non ha bisogno di particolari presentazioni. Nel suo anno di uscita, l’album è stato accolto tiepidamente ma, con il passare del tempo, è diventato uno dei più amati di sempre tra gli aficionados della musica folk ma anche tra chi non è solito ascoltarla.

Il punto di forza del full length è sicuramente il suo minimalismo: a differenza dei due dischi precedenti, Drake canta da solo con la sua chitarra acustica (e il pianoforte nella title-track), con un risultato finale straordinario. Durante la registrazione, il musicista stava lottando contro la depressione, una battaglia che si “respira” in ogni singola nota.

È un Long Playing caratterizzato dalla finezza della chitarra e da testi intimisti e riflessivi, in cui la tristezza espressa dall’artista pare essere di conforto per gli ascoltatori che si ritrovano nelle sue parole. Di conseguenza, può essere inserito nella “categoria” dei dischi invernali sia per il suo sound spoglio quanto gli alberi quando fa freddo sia per l’assenza di lyrics allegre.

Le perle musicali contenute nei soli 28 minuti che compongono l’album sono davvero tante e tra esse ricordiamo “Pink Moon”, “Place To Be”, “Road” e “Parasite”. “Place To Be”, in particolare, è una malinconica presa di coscienza sul passaggio dall’ottimismo dell’adolescenza alla disillusione dell’età adulta.

Bob Dylan – “Christmas in the Heart” (2009)

Ritieni che i canti di Natale siano irritanti e ripetitivi? Credimi, non sei assolutamente l’unica persona a pensarlo ma l’ascolto di “Christmas in the Heart” di Bob Dylan potrebbe comunque risultarti gradevole.

Il disco in questione, i cui proventi delle royalties sono stati devoluti in beneficenza a delle associazioni che si occupano delle condizioni dei senzatetto e di altre problematiche sociali, è una raccolta di cover di inni, carole e canzoni della tradizione natalizia anglosassone di diverse epoche (dal XVIII secolo agli anni ’60 del Novecento).

Ma cos’ha di speciale questo album rispetto a tutti gli altri full-length di rifacimenti di brani natalizi? La risposta è semplice: Bob Dylan.

Il cantautore americano, infatti, imprime le sue influenze sonore folk e blues su tutte le tracce, dando così loro una certa personalità. La sua voce roca e sporca, tipica dei suoi ultimi lavori, paradossalmente, sembra dare una certa eleganza al Long Playing, che scorre con leggerezza e senza intoppi.

“Must Be Santa”, “Have Yourself a Merry Little Christmas”, “The Christmas Blues” e “O’ Come All Ye Faithful (Adeste Fideles)”, per esempio, sono cover decisamente riuscite, in grado di mostrare sia il lato allegro di Dylan sia quello più riflessivo.

Insomma, “Christmas in The Heart” è un disco che può stupire e far sentire un po’ quella “magia natalizia” che si prova durante l’infanzia.

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